martedì 13 settembre 2011

DIEGO MARANI PRESENTA "AL ZANET INSPIRTA'"



Lo so che questo blog non dovrebbe funzionare così, che gli eventi andrebbero recensiti immediatamente, il giorno dopo, in settimana al massimo. Tuttavia, come si diceva arrabbiati negli anni Sessanta "Il blog è mio e me lo gestisco io" (forse non era proprio così, forse c'entrava un utero, il concetto è lo stesso però). La norma me la sono autoimposta e ora me la autoscompongo.
Olè. Già fatto.
Ora che scrivo libera da qualsiasi vincolo posso spiegare cosa è mia intenzione fare nei prossimi giorni: voglio recuperare il tempo perduto, ossessione proustiana che si tradurrà nel recupero di eventi a cui ho partecipato negli scorsi mesi, e che per questioni legate all'afa, al lavoro, alla necessità di pettinarmi i capelli almeno una volta ogni tre giorni, ho accantonato fino ad ora.
Inizio con la presentazione di "Al zanet inspirtà", organizzata dalla Proloco al giardino delle duchesse. E' stata sicuramente l'evento più bello a cui ho assistito questa estate: location molto suggestiva, finalmente sfruttata per l'uso e il consumo da parte della cittadinanza (il buskersfestival è venuto dopo, la rassegna "Libri sotto gli alberi" è iniziata a giugno), Diego Marani un signore d'altri tempi. Avevo letto un paio di suoi romanzi ma non avevo mai avuto occasione di vederlo o conoscerlo al di là  della pagina stampata, e mi è piaciuto moltissimo: un uomo intelligente e garbato (non è poco).  A fargli da buona spalla il giornalista Stefano Lolli, capace di mantenere il giusto equilibrio tra partecipazione carismatica e piatta indifferenza. 
Del libro, la prima pubblicazione in ferrarese per Marani, non si è discusso molto e l'ho apprezzato. Non mi piace sapere troppo di qualcosa che poi andrò a leggere, preferisco la scoperta silenziosa all'anticipo o all'esegesi immancabilmente prolissa. Il poeta dialettale Roberto Pavani ha letto degli estratti, ma appartenenti ad un'appendice comica della pubblicazione, chiamata "ferrarese per stranieri": performance incredibile, testo e interpretazione riuscitissimi entrambi. 
La storia del Zanet non è stata quindi svelata, o almeno non troppo. Sul palco si è semplicemente preso spunto dal libro per confrontarsi con temi diversi: la precaria diffusione del dialetto ferrarese, la crescita e il deperimento - quasi organico - delle lingue, il ruolo dell'inglese, la sopravvivenza ambigua della lingua di origine nei ragazzi di seconda generazione. 
Marani vive da diversi anni a Bruxelles, dove lavora come interprete per la commissione europea. Ha fondamentalmente spiegato, ad un pubblico assolutamente variegato e "non addetto ai lavori",  i concetti chiave della linguistica contemporanea. Nonostante l'apparente gravità dell'argomento, il discorso è rimasto sempre molto leggero, divertente oltre che accessibile. Non sono mancati i momenti di gioco puro, come quando lo scrittore ha cantato"Romagna meine" (traduzione di "Romagna mia") in europanto, un buffo mix di idiomi diversi, inventato da lui stesso per far divertire i colleghi.

domenica 7 agosto 2011

DON'T BE VAGUE, DRINK COCKTAILS


Avrei voluto raccontare di questa serata il giorno dopo o quasi, invece mi sono lasciata passare davanti più di una settimana di tempo. Mea culpa: negli ultimi mesi ho trascurato il blog, e se tutto andrà come prevedo vada, almeno fino a settembre continuerò semplicemente a sopravvivere a me stessa, ai troppi impegni di lavoro, al caldo bianco di afa che mi riempie il soggiorno.  Provo comunque - oggi che è domenica - a ritagliare qualche ora da dedicare ai vecchi appuntamenti non commentati, iniziando appunto dalla serata gestita in collaborazione tra Camelot Cafè e Zuni per l'ultimo venerdì di luglio. Sono capitata all'evento per caso: ero già al parco urbano per la festa di mezza estate organizzata per i bambini dei centri estivi, e sono semplicemente trapassata dal laboratorio artistico all'aperitivo cotto dal sole, dalle forbici con la punta arrotondata allo spritz. Mi sono divertita e sono stata bene, ma mi permetto - al solito - un paio di appunti.
Cardine della festa, a giudicare dal nome scelto per la promozione, avrebbero dovuti essere i cocktail. Io non li ho assaggiati perché avevo un aperitivo già offerto e per educazione non mi ci potevo proprio sottrarre (non sia mai!), ma mi domando: può alle soglie dell'imminente fine del mondo maya essere una serata organizzata unicamente attorno a dei cocktail? Io credevo fossero abbastanza comuni, una di quelle cose che si trovano in ... tutti i bar del pianeta, tipo. Vabbè, probabilmente sono la solita schizzinosa. Se qualcuno volesse scrivermi in merito sarei contenta, magari scopro che vi erano state mescolate sostanze talmente rare e preziose, shakerate con tale pazienza certosina e amore, da produrre bevande assolutamente imperdibili. Chissà. 
Secondo appunto: buono il djset, equilibrata la scelta dei pezzi, niente di troppo venduto, niente di troppo elitario. Peccato che gli ospiti accorsi specificatamente per l'evento rimanessero ostinatamente fermi, immobili come la fede cattolica. Chiarisco un po'meglio la situazione. I presenti si dividevano in fazioni ben distinte: da una parte un gruppo di cialtroni sudati - gli educatori rimasti al parco dopo la festa con i bambini - , con residui di tempera nei capelli e le occhiaie, dall'altra parte la beautifulpeople invitata da Zuni, con i vestitini freschi e i capelli acconciati, impassibile. Io facevo parte del primo gruppo, il quale non ha sicuramente proposto uno spettacolo edificante usando una mezza anguria a modi cappello e rincorrendosi con le ciabatte rotte sulla ghiaia, ma ha almeno festeggiato a dovere, ballando tanto e ridendo altrettanto. Bisogna riconoscere che un paio di tentativi danzerecci da parte del gruppo beautifulpeople si sono effettivamente verificati, ma solo nei momenti di occupazione massiccia del sottopalco. Appena la marea degli educatori si ritirava - per un sorso di acqua, uno scherzo, una sigaretta - ecco che timidamente ritornavano composti e seduti. 
Mi domando che tipo di serata sarebbe stata senza la coincidenza che ha quasi sovrapposto una festa all'altra. Credo sinceramente abbastanza triste.

domenica 24 luglio 2011

LAST KILLERS AL RELOAD



Dopo settimane di serate solitarie e telefilm (lavorare d'estate stanca, è un dato di fatto) finalmente ieri sera sono uscita dal guscio del mio divano e mi sono ributtata a calci fuori casa. Sono arrivata al Reload tardi, giusto in tempo per sentire le ultime canzoni dei Last Killers e fare quattro chiacchiere prima del temporale, ma qualcosina al volo sul festival credo di poterla scrivere. La location boschiva vale da sola la serata, racchiusa nell'intimità dalle mura ed esclusa dal tempo triste della città, con i tavoli da sagra immersi nel verde frondoso del parco e le installazioni oniriche tutto attorno. Piace assai. Buono anche il servizio "bibbite": prezzi adeguati e birra finalmente di qualità (ma senza troppi tiramenti). Il concerto poi, almeno per i pezzi che ho potuto ascoltare, mi è sembrato valido: presenza scenica carismatica, repertorio garage rock apparentemente svagato ma tecnicamente complesso e curatissimo, ritornelli abbastanza orecchiabili da smuovere immediatamente gli animi, i corpi, le gambe, le braccia.
Peccato che non si smuovesse nessuno. Io arrivavo da due ore di dibattito sui costi della politica, con tanto di onorevoli e consiglieri regionali straripanti, e sinceramente non mi sentivo abbastanza in forza per affrontare il sottopalco. Non voglio autogiustificarmi, ma quando gli anni universitari lasciano il posto al precariato cronico, a cinque contratti a progetto incrociati come un tetris per non riuscire comunque ad arrivare a fine mese, un po'di spossatezza anche ci sta. Mi chiedo però dove fossero ieri tutte le me stesse più giovani, le studentesse che ora hanno l'eta che avevo io quando non perdevo una canzone, un'occasione, quando quasi correvo per tuffarmi in mezzo alla gente e abbandonavo i sandali nell'erba per saltare più alto. L'unica a ballare (grandiosa!) era la ragazza della bancarella di orecchini a forma di liquirizia. Possibile che il Reload sia frequentato solo da disoccupati stanchi e precari ancora più stanchi? O - in alternativa - possibile che gli studenti in forma non abbiano più voglia di ballare? Seduti davanti a me stavano una giovinetta-allstar abbarbicata a un giovanotto-birkenstock, che forse - ma solo forse- facevano quarant'anni in due. Lei a un certo punto si è alzata in piedi e ha provato a trascinare lui per il braccio, verso la musica veramente irresistibile. Lui ha opposto resistenza, l'ha ritirata a sé con fermezza e ha sancito l'immobilità di entrambi mettendole la lingua in bocca. Bello l'amore passionale, ci mancherebbe, ma provare un minimo slancio verso qualche altra cosa non sarebbe poi così male.

domenica 3 luglio 2011

EMERGENCY DAYS: LA PRIMAVERA ARABA + MALAPIZZICA


Ci sono dei momenti in cui la libertà imprevedibile degli anni universitari mi ritorna viva in mente, e il ricordo si cristallizza in una grande bolla di rimpianto, che mi schiaccia al suolo più di quanto non mi appesantisca quotidianamente l'affastellarsi degli impegni e il circo noioso delle responsabilità. Le giornate in cui si tengono gli Emergency Days sono il momento perfetto per rispolverare tutta l'autocommiserazione di cui dispongo (lo ammetto: è tanta) e farsi venire qualche buon nervoso: non avrei voluto perdere un dibattito, uno spettacolo, un concerto. E invece ho ovviamente mancato quasi tutto. Chi ha passato quelle serate davanti alla tv o in gelateria si senta pure male: avrebbe dovuto essere in piazza.
Dopo questa premessa necessaria, provo a raccontare gli unici due appuntamenti a cui sono riuscita a partecipare.
LA PRIMAVERA ARABA: L'incontro di giovedì pomeriggio avrebbe dovuto essere un approfondimento sugli sconvolgimenti vissuti nell'ultimo anno dal cosiddetto "mondo arabo" (definizione intrinsecamente problematica, generalista e superficiale,  la cui diffusione è già sintomatica della miopia dello sguardo "occidentale" sul fenomeno, com'è stato fatto notare da Edda Pando). La discussione di fatto ha sbandato più e più volte rispetto l'asse centrale attorno al quale avrebbe dovuto convergere, ma nessuna delle sue deviazioni mi è sembrata inutile. Si è passati attraverso la scommessa del migrante che affronta il mare con il racconto del reporter Giulio Piscitelli; ci si è soffermati sulle incongruenze della legislazione italiana in materia di immigrazione con Edda Pando (che ha richiamato i presenti a fare politica nel senso originario del termine: fare polis, costruire stato e cittadinanza); Cecilia Strada come al solito ha spostato l'attenzione verso l'Afghanistan, e come al solito è stato impossibile non prestare ascolto alla semplicità disarmante delle sue parole (a chi le chiedeva cosa può fare il singolo per aiutare ha risposto molto concretamente che basterebbe, ognuno nel proprio piccolo, "rompere i coglioni": a chi posteggia in doppia fila, a chi non rispetta gli stranieri, a chi impedisce ai senzatetto di salire sull'autobus, a tutti i piccoli soprusi quotidiani di cui si è testimoni). L'intervento di Karim Bugaighis è stato l'unico ad affrontare di petto la "primavera araba", ed è stato a mio avviso completamente destabilizzante. Karim, che abita a Ferrara da molti anni, ha ricomposto come se fossero i pezzi disordinati di un puzzle i significati diversi del suo essere libico in Italia: memorie di infanzia, la violenza di un regime a cui ha assistito inconsapevole, l'indifferenza forzata con cui ha accolto la propria condanna a morte - colpevole di essere partito per l'Europa e di non essere più tornato - . E ancora lo scandalo e infine l'accettazione dei rapporti a dir poco cordiali intrattenuti dal nostro governo e Gheddafi, il silenzio scaramantico condiviso dai connazionali immigrati quando le rivolte iniziavano a diffondersi, la preoccupazione ma anche la giustificazione dell'intervento NATO. Ha parlato con calma, ma la voce a tratti sembrava strozzarglisi in gola. Ha concluso ripetendo al pubblico "Spero che ce la caveremo", e quasi rivolto a sé stesso, per convincere le proprie paure più che per risolvere quelle degli altri: "Sono sicuro che ce la caveremo".
MALAPIZZICA IN CONCERTO: Ad essere sincera, dopo aver ripercorso le tappe salienti dell'incontro sulla primavera araba faccio fatica a scrollarmi tutto di dosso, e a scrivere qualcosa sulla serata di venerdì. Tuttavia, per recensire una festa strutturata in iniziative tanto diverse, devo cercare di riappropriarmi di sensazioni altrettanto diverse. Faccio un bel respiro e ci provo.
Quando assisto ad un concerto di pizzica mi sento quasi sempre dilaniare: da una parte mi strattona la noia, il disprezzo intellettuale per il pubblico che si intrattiene in canti e danze diventati troppo di moda (scriveva qualche anno fa un mio amico "bisognerebbe proibire di ballare la pizzica a chi ha meno di sessant'anni e/o non presenta una congrua dose di calli da zappa sui palmi delle mani"); dall'altra parte mi tira per le braccia e per le gambe la musica  incalzante, il desiderio di buttarmi in mezzo alla folla. Sotto il palco dei Malapizzica ho cercato il compromesso: un balletto e basta, abbastanza per sfogarmi ma anche per sentirmi scoordinata e fuori luogo. Il resto del tempo l'ho passato ad ascoltare le ballate amorose, strazianti, a crogiolarmi nell'accordo delle voci e degli strumenti, ad osservare a mezzo metro da me il calderone disarmonico di mani e ginocchia, saltelli sbilenchi, madri sudate e improvvisati ballerini, bambini furibondi e ragazze con lo scialle. La pizzica, con i suoi suonatori "ipermeridionali" - anche quando vengono da Cinisello Balsamo - e le gonne alzate sopra le cavigli, conserva sempre un certo fascino (malgrado tutte le mie reticenze).

giovedì 30 giugno 2011

NINA PALMIERI PRESENTA "RAGAZZE CHE AMANO RAGAZZE"


In linea con queste giornate tese di esami e maturità, ecco la pagella della presentazione organizzata da Circomassimo in collaborazione con Melbook:
GEOGRAFIA: 8. Ho apprezzato molto la decisione di organizzare la presentazione del libro sotto i portici della libreria, invece di usare la nuova sala ristrutturata al terzo piano. Ci saranno state più zanzare e umidità, ma è importante che argomenti ancora controversi come l'omosessualità possano affacciarsi direttamente sulla piazza in fermento, stimolare la curiosità dei passanti.
STORIA: 6, 5. Le storie raccontate da Nina Palmieri appartengono alle esperienze vissute attraverso la strutturazione del programma televisivo "Le storie di Nina" (appunto) dedicato all'esplorazione dell'universo lesbico. La tematica è sicuramente interessante, per questo merita una sufficienza abbondante, ma durante la serata non ho trovato grandi stimoli di riflessione. Sia l'autrice che la moderatrice hanno dimostrato disponibilità e spigliatezza, ma i punti toccati dalla discussione - fatta eccezione per l'approfondimento sul modello genitoriale trasmesso dalla famiglia omosessuale - sono stati abbastanza banali.
ITALIANO: 5. Le letture non mi hanno convinto per nulla. Di solito alle presentazioni si propongono i brani più intensi o accattivanti, ma spero vivamente che ieri sera la scelta degli estratti abbia giocato al ribasso (magari per sorprendere il temerario che si decide all'acquisto). Possibile che da una realtà così densa e complessa il meglio che si riesca a cavare è una vaga riflessione identitaria sull'opportunità di farsi crescere i peli sulle gambe?
TECNICA: 5. Gli amplificatori dei microfoni erano inutilmente posizionati vicini alle prime file del pubblico, chi era seduto un po'indietro non riusciva a capire granché.
CHIMICA: 7,5. Come conferma la statica dei fluidi: l'aperitivo offerto suscita sempre reazioni positive.
Dalla media dei voti risulta un 6 +. Serata non particolarmente entusiasmante, ma tutto sommato soddisfacente.

martedì 28 giugno 2011

LA SANCHICCIATA



La giraffa proclama ufficialmente alla comunità tutta che, dopo la serata di ieri al centro sociale La Resistenza, è proibito in quel di Ferrara qualsiasi commento svogliato, qualsiasi giustificazione alla propria pigrizia. Specificatamente le espressioni “non c'è mai niente da fare” e “qua non si riesce mai a fare niente” sono tassativamente bandite dal frasario comune. I ragazzi che seguono il centro infatti hanno saputo, in poco più di tre mesi, ripristinare alla cittadinanza uno spazio già avviato alla decadenza e sfruttarne al meglio le potenzialità, aprendosi onestamente alle idee, ai propositi, ai desideri delle persone. Rispetto ad altri tanti posti pretestuosamente “sociali”, la Resistenza riesce – unica a mio avviso – a favorire una relazione di reciprocità tra avventori e gestori, ad essere casa e giardino di tutti, a rendersi disponibile e permeabile alle collaborazioni e alle contaminazioni. I luoghi di ritrovo in città, tanto i locali privati quanto gli spazi associativi, vengono quasi sempre gestiti alla stregua di club esclusivi. Per quanti sforzi retorici facciano in direzione della condivisione (volantini accattivanti, feste aperte e inaugurazioni), frequentarli è come partecipare a una gara di resistenza. Sarò io il primo a stancarmi di essere costantemente accantonato, oggetto di grandi grandissimi sorrisi ma irrimediabilmente estraneo? O sarà invece il “circolino” a cedere infine alla mia caparbietà, costretto a posare su di me uno sguardo un pochino meno indifferente rispetto a quello che solitamente si riserva a un piccione che sgambetta per strada?
Io mi sono sempre arresa, non ho mai vinto nessuna di queste sfide. Non voglio con questo intendere che siano impossibili: conosco delle persone che in più di una occasione sono riuscite a scalzare piano piano tutte le resistenze degli adepti e ad integrarsi a loro, armati di pazienza sconfinata e un karma positivo granitico. Io appunto non ci sono mai riuscita, ma sarebbe più corretto ammettere che non ho mai nemmeno voluto riuscirci. La grammatica settaria del gruppo-chiuso-autoproclamatosi-apertissimo mi ha sempre avvilito molto. Mi ero quasi rassegnata alla sua inevitabilità, ma sono felicissima di tornare sui miei passi: Ferrara ha finalmente un centro sociale non antisociale, e la Sanchicciata di ieri ne è la prova. A organizzare le attività della Resistenza si alternano amici e coinquilini, associazioni di genitori e gruppi di acquisto solidale: ognuno porta con sé ciò che ha di meglio e trova finalmente uno spazio per metterlo in comune. Nella fattispecie ieri sera si è trattato di salsicce e verdure grigliate, pane curdo fatto in casa (ho provato a carpirne i segreti ma non credo saprò riprodurlo: era eccezionale!), pomodori ripieni e vino rosso. Con tre euro e mezzo si mangiava e si beveva in compagnia, prendendosi il fresco della sera e magari improvvisandosi deejay (la scelta delle canzoni era infatti aperta all’iniziativa dei presenti, una sorta di juboxe postmoderno). Una serata talmente facile, un’idea talmente semplice, da non essere ancora mai stata proposta: cibo buono e un prezzo onesto, musica e qualche zanzara che ormai siamo a fine giugno e ci sta.

sabato 25 giugno 2011

FESTA DELLA LINEA BN


Mi piace sempre l'atmosfera docile del centro sociale la Resistenza. Sembra un ossimoro (resistenza docile?), e ora provo a spiegare meglio quello che intendo: aria familiare, senza pretese nel senso migliore del termine, per cui ci si può permettere di non doversi difendere dagli sguardi o dalle opinioni altrui, e (finalmente!) rilassarsi. Anche la festa della Linea BN, organizzata ieri sera, ha partecipato di quest'aura conviviale e protettiva. Sono stati proiettati all'aperto i booktrailer delle prossime pubblicazioni della casa editrice ("Cose bulgare" e "Io guardo Sofia") ed è stata presentata la raccolta “Piccoli scatti e scritti”, frutto di un concorso di fotografia e narrazione promosso per tutto il 2010 tramite facebook. Gli autori vincitori (tantissimi, uno per ogni settimana dell'anno) hanno brevemente introdotto il loro lavoro, che veniva poi letto ad alta voce con sottofondo musicale ambiguo (non saprei come altro definire una chitarra elettrica che distorce a caso e fischia ogni tanto). A seguire buffet freddo di derivazione bulgara (per accordarsi agli interessi editoriali) e musica piacevolmente datata, le canzoni fresche di quando eravamo tutti più belli e stupidi.
Se ri-penso alla serata devo ammettere che oggettivamente non è stata granché: una lettura di taglio decisamente amatoriale e una cena costosetta (5 euro per un “menù completo” che tanto completo non era – due polpette, una fetta di torta salata, una manciata di riso freddo - ... e che addirittura sull'invito all'evento figurava come offerto!). Se ri-sento la serata sono contenta. Marco Belli è stato un padrone di casa informale e sorridente, l'aura di cui sopra si è insinuata tra i tavoli e le conversazioni, facendo passare in secondo piano le piccole storture. I prezzi scandalosamente onesti del bar poi pacificano sempre l'animo.